Cosa significa affrontare il Sentiero Bove in giornata in maniera leggera e minimalista preservando comunque uno stile escursionistico/alpinistico?
Il parco nazionale della Val Grande ospita uno straordinario ambiente decisamente caratterizzato dalla presenza di una natura selvaggia e dal totale senso di isolamento che si vive quando ci si “infila” nei suoi boschi ripidi e silenziosi. Nonostante la vicinanza a luoghi piuttosto frequentati (Lago Maggiore e Val d’Ossola), questa porzione di territorio appare tutt’altro che accogliente agli occhi dell’escursionismo “mainstream”. Questo suo carattere inaccessibile lo rende un territorio decisamente unico e avventuroso.
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Davide Canil
Accompagnatore di media Montagna
Guide Alpine Piemonte
Quando parliamo di Val Grande è d’obbligo soffermarsi sul Sentiero Bove, un itinerario istituito sul finire del 19° secolo considerato come la prima alta via a tappe delle Alpi. Questo percorso, troppo difficile per gli escursionisti del ‘900, diviene sempre più rinomato nel corso dei decenni ma solo negli anni ’80 viene attrezzato con catene di sicurezza per agevolarne i passaggi.
Cos’è il Sentiero Bove
Il sentiero Bove e la Val Grande in generale, oltre ad avere un’importante rilevanza nella storia dell’escursionismo è legato ad importanti episodi del nostro paese come gli avvenimenti legati alla Grande Guerra e alla Resistenza, oltre che per il capitolo del contrabbando, ma anche per l’importante indotto lavorativo del dopoguerra generato dall’industria del legname.
Dopo queste premesse capite bene che quello di mettersi in cammino in uno scenario del genere non può che risultare il desiderio di ogni appassionato di montagna!

Come decidiamo di affrontare il Sentiero Bove, e quali altre possibilità ci sono.
Dopo aver scambiato alcuni sintetici messaggi con Elia, capisco che entrambi abbiamo la stessa motivazione, e decidiamo quindi di affrontarlo in maniera leggera e minimalista preservando comunque uno stile escursionistico/alpinistico.
L’idea è quella di completarlo in giornata senza in alcun modo pensare a motivi legati a tempi da record. Sostanzialmente l’approccio con cui lo affrontiamo non è legato ad uno spirito di azzardo ma al contrario ci andiamo con molta cautela: nello zaino infatti oltre alla dotazione alpinistica inseriamo anche il minimo indispensabile per affrontare un eventuale bivacco dato che lungo il sentiero esistono diverse strutture non gestite che offrono sicuri ripari di emergenza, ma che soprattutto risultano utili per poter spalmare il giro anche in più giorni, solitamente l'itinerario si completa in almeno in 3 giorni così da poter godere dell’accogliente appoggio dei bivacchi. Se si vogliono unire anche delle piccole varianti (come salire in cima al Pedum, oppure salire alla Cima Sasso si consiglia di organizzarlo anche in 4 giorni).
Il racconto
Venerdì 28 gennaio la giornata inizia molto presto, la sveglia delle 3,30 è d’obbligo soprattutto se vogliamo realizzare l’idea che ci siamo prefissati.
I cinque rintocchi delle campane di Cicogna denotano la nostra “svizzera” puntualità sulla tabella di marcia: è l’inizio del nostro “viaggio”.
Si parte e le sensazioni sono buone, soprattutto perché la nebbia e la fastidiosa umidità che ci ha accompagnato per tutto il viaggio in auto è rimasta concentrata a fondovalle. I 600 metri di quota sul livello del mare sono sufficienti per incamminarci godendo di una piacevole inversione termica, anche se consapevoli che da lì a poco, il vento in arrivo da nord ci avrebbe presumibilmente tenuto compagnia per tutta la giornata.
Una prima frazione di camminata ci porta ad attraversare nel buio più completo una ripida faggeta fino all’alpe Curgei dove ci concediamo una breve pausa e una veloce bevuta alla sorgente. Il tratto subito successivo si sviluppa su un crinale in falsopiano in cui i sibili del vento che prima sentivamo provenire dall’altro versante diventano raffiche che ci obbligano a coprirci, sfruttiamo il riparo della bivacco Pian Cavallone per indossare la giacca anti-vento e proseguire quindi verso il Pizzo Marona.
E’ Proprio mentre percorriamo questo tratto che il sole sbuca dal profilo seghettato del Resegone la scena merita di essere immortalata almeno nella nostra mente visto che attraverso la foto che scatto non si percepisce minimamente quello che realmente ho davanti agli occhi. Il vento a tratti si placa ed il sole elargisce tutto il suo calore. Nei pressi del Pizzo Marona anticipiamo la sosta (inizialmente pianificata in cima allo Zeda). Sfruttiamo infatti la cappella che ci offre un posto per una comoda merenda mentre fuori le raffiche di vento continuano a soffiare ma in maniera piuttosto discontinua.

Il viaggio prosegue e raggiungiamo il punto più alto della giornata, ovvero i 2150 m del Monte Zeda, qui siamo circa ad un terzo dell’intero giro e la discesa dalla cresta nord è un susseguirsi di passaggi tecnicamente esposti ma divertenti che affrontiamo sfilando la piccozza dallo zaino e indossando i ramponi. Su questa cresta ci sono tante catene che risultano comode per disarrampicare.

Da qui in avanti superiamo velocemente un susseguirsi di saliscendi: la prima leggera risalita è quella della Piota (1925 m), poi è la volta del Passo Crocette che raggiungiamo attraversando infidi e scivolosi nardeti che ricoprono le praterie in quest'area. Dopo aver perso un po' di quota raggiungiamo il canale sottostante al monte Torrione, un bel tratto roccioso che risaliamo sfruttando le tecniche di arrampicata piuttosto che servirci totalmente delle catene che non farebbero altro che stancarci ancor di più.


Siamo nei pressi della metà del Sentiero Bove, se avessimo scalato una montagna era il momento di fare dietrofront per affrontare la discesa, ma su questo itinerario invece significa proseguire su e giù per il filo filo di cresta accumulando sempre più dislivello nelle gambe.
Poco dopo il Torrione manchiamo per un pelo il sentiero che quasi di nascosto sembra scendere dritto verso la Val Pogallo, ma che dopo una leggera incertezza ritroviamo. Giunti alla Bocchetta di Terza rifiatiamo scrutando il nevaio del versante settentrionale della Laurasca per individuare la migliore linea di attraversamento. Prima del nevaio è la volta di cima Marsicce dove “entro in riserva”: ho terminato tre quarti di acqua che avevo con me, entro così in modalità “basso consumo", coccolo gelosamente l’ultima bottiglietta da mezzo litro che ho nello zaino ma so che nonostante tutto mi basterà, o meglio: me la farò bastare!

Episodi simili relativi alle scorte d’acqua capitano spesso in montagna, trovo che sia una situazione fortemente formativa. In questi momenti penso sempre al nostro rapporto con l’acqua nella vita di tutti i giorni. La classica scena che si ripete è la bottiglia di plastica semivuota abbandonata sul mobile della cucina che nessuno ha mai voglia di finire. Piuttosto che bere le ultime due dita d’acqua ormai calda e sgasata se ne apre un’altra, sperando che qualcun altro la finisca al posto nostro.
Dicevo, dalla “Marsicce” passiamo alla Bocchetta di Cortechiuso dove ci troviamo nuovamente a passare in versione alpinistica. L’aria fresca che sale da nord ci dà una bella ventata di energia, e se fino a poco prima ci sentivamo abbastanza “cotti”, i passi su neve e ghiaccio ci permettono di avanzare con un ritmo più regolare e ritroviamo una buona condizione fisica. Dopo un lungo traverso su pendii coperti di neve ghiacciata, senza perdere troppa quota (grazie ad una leggera variante che ci siamo inventati stando un po' più alti rispetto al sentiero originale), sbuchiamo alla bocchetta di Scaredi ritornando sul filo di cresta e dopo qualche foto dal grande scenario della Punta di Bina ci dirigiamo verso il bivacco Bocchetta di Campo. Altra piccolissima sosta per curiosare un po' all’interno della struttura, e poi via per affrontare l’ultima frazione di questa lunga traversata.



Eccoci ormai a fine giornata e gli ultimi raggi di sole che stanno illuminano i ripidi prati della Val Grande accendendoli di un caldo tono arancione, spariranno nel giro poche decine di minuti esattamente dietro il profilo delle Alpi Pennine.


Siamo proprio nel cuore della “Val Granda” più severa, quando affrontiamo le strette del Casè.
Finalmente abbiamo modo di vedere con i nostri occhi questi famosi passaggi di cui abbiamo letto alcune informazioni, senza però mai capire esattamente di cosa si trattasse. Sono degli strettissimi passaggi rocciosi attraverso i quali il nostro corpo passa a malapena, dovrebbero essere le ultime salite della giornata e ciò ci fa godere ancor di più il fatto di trovarci nelle viscere di questa valle tanto inospitale quanto meravigliosa.
Da qui in avanti scolleghiamo il cervello, ci troviamo sui cosìddetti "Prati di Ghina" e siamo ormai fuori dei tratti tecnici e anche se di sentieri non se ne vedono avanziamo ad intuito continuando inerzialmente verso Pogallo, il grande alpeggio famoso per il periodo del grande disboscamento dell’inizio del ‘900 e per il rastrellamento fascista del ’44.

Da Pogallo il rientro a Cicogna scorre via veloce e alle 20.35 chiudiamo così uno dei più bei percorsi che personalmente abbia mai affrontato in montagna.
I “check point” del Sentiero Bove (se si sceglie di percorrerlo in senso antiorario)
Cicogna
Pian Cavallone
Pizzo Marona
Monte Zeda
la Piota
Passo delle Crocette
Monte Torrione
Bocchetta di Terza
Cima Marsicce
Bocchetta di Cortechiuso
Bocchetta di Campo
Strette del Casè
Prati di Ghina
Pogallo
Cicogna

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Informazioni e approfondimenti
Per tutte gli approfondimenti storici, naturalistici e tecnici, di questo itinerario si rimanda a:
Libro: Il Parco nazionale della Val Grande : escursioni nella wilderness tra il Lago Maggiore e l'Ossola di Bernhard Herold Thelesklaf e Teresio Valsesia
Sito: www.parcovalgrande.it
Carta topografica consigliata: Alto Verbano di Geo4Map
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