Quanto incide la psicologia in montagna?
Ascoltando un’intervista alla psicologa dello sport Stefania Ortensi ho raccolto numerose e importanti considerazioni che sensibilizzano notevolmente rispetto a quanto sia importante la componente psicologica nella vita ma anche in montagna.
Vediamo innanzitutto come Stefania presenta il perimetro della sua attività:
“La psicologia dello sport è una branca della psicologia positiva che studia il comportamento umano legato all’attività sportiva in relazione alla personalità, alla motivazione, alla capacità di concentrazione e ai fattori emotivi.”
Quanto incide la componente psicologica in montagna?
Uno dei valori che sviluppiamo quando intraprendiamo una sfida sportiva, che spesso e volentieri riguarda un confronto con noi stessi e per noi stessi, è la volontà di uscire dalla propria comfort zone.
Mettersi in gioco andando per esempio a fare un’escursione in montagna porta inevitabilmente la persona a dover continuamente adattarsi ad una situazione che non è abituata a gestire. Di fatto si mette piede in un territorio che non è comunemente il proprio, sia fisicamente ma anche psicologicamente. Talvolta la situazione alla quale occorre adattarsi può essere anche delicata, oppure “solamente” scomoda, ed è da qui che si innesca il famoso spirito di adattamento.
Andare incontro a situazioni “scomode” genera pressappoco quella sensazione che proviamo quando abbandoniamo qualcosa che conosciamo bene per rilanciare la nostra indole verso qualcosa di ignoto.
Il cambiamento deve significare quindi quell’atto di andare incontro ad un’ “opportunità inesplorata” che nella maggior parte dei casi ci porta verso la scoperta di sempre nuovi interessi, non deve dunque risuonare come una paura.
La paura come campanello di allarme
La Paura piuttosto, rappresenta un prezioso campanello d’allarme che dobbiamo saper ascoltare. E’ uno stato emotivo che permette di pensare e riflettere. E’ la vocina che ci suggerisce che forse può essere il momento di fermarsi: è un’apparente emozione negativa ma in fondo ci protegge dai pericoli. ASSENZA DI PAURA = INCOSCIENZA
La paura può essere un problema?
Sì, può diventare un problema quando è paralizzante, ovvero quando si trasforma in quella reazione improvvisa che ci impedisce di agire: il panico. La situazione di panico è uno stadio difficile da gestire e quando si entra in questa fase è piuttosto difficile riuscire ad uscirne, ecco perché sentire i “campanelli” al momento giusto è fondamentale.
Cos’è la concentrazione
La Concentrazione può definirsi come la base della nostra coscienza e consapevolezza. Rivolgere l’attenzione verso qualcosa di specifico o un obiettivo che desideriamo raggiungere in qualche modo presuppone che vi sia consapevolezza di arrivare a quel risultato prefissato, anche se quest’ultimo può sembrare impossibile.
Anche la concentrazione può giocare un ruolo negativo, questo succede quando ci concentriamo su cose sbagliate, di conseguenza la nostra prestazione resterà al disotto della nostre reali capacità, dunque impostare dei rituali da ripetere per un warm-up fisico ed emotivo che mi aiuti ad entrare in performance, per ottimizzare la concentrazione prime di un’attività, vediamo come.
Come impostare un “rito” di concentrazione
· Visualizzazione: cerchiamo di focalizzare e visualizzare nella mente l’attività che dovremo svolgere ripassandone mentalmente i movimenti, questo ci permette di attivare tutti quei muscoli e schemi motori che andremo ad eseguire.
· Self talk: monitoraggio del dialogo interno. Effettuare un dialogo interno basato sulla capacità di porre l’attenzione su determinati aspetti e pensieri positivi e energizzanti ci aiuterà nel porci al meglio verso ciò che andremo ad affrontare.
· Escludere i pensieri disfunzionali e i 3 falsi amici:
La locuzione “NON” è il primo falso amico, evitare di usarla ci evita di subire l’effetto Carpenter: se io immagino il braccio piegato si attivano quei muscoli che mi farebbe piegare il braccio, quindi se mentre scalo dico NON devo piegare il braccio è molto diverso che pensare devo distendere il braccio, come dare dei comandi al corpo.
Evitare di usare l’imperativo “DEVO!” Disporre un dictact ai noi stessi genera solo frustrazione.
Infine il verbo “POTERE” potrebbe generare una probabilità di insicurezza, il consiglio è di usare espressioni come “ce la faccio”, evitando il timoroso “ce la posso fare”
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